"Se hai due pani,
danne uno ai poveri,
vendi l'altro
e compra dei giacinti
per nutrire l'anima"
(massima indu')

Sito personale di Graziella Giovannini

Graziella Giovannini

I minori migranti

Il diritto allo studio nella scuola dell’interdipendenza mondiale

Ottobre 15th, 2010

1.      La scuola come diritto sociale

Parlando di bambini, adolescenti, giovani stranieri, parlando delle loro condizioni e delle loro questioni educative, sappiamo benissimo che parliamo di noi. E sappiamo anche che la relazione con chi è diverso permette di capire meglio anche noi stessi. E’ una vecchia storia, se siamo capaci di riconoscerla.

Vorrei provare a condividere alcune riflessioni su una delle dimensioni della questione educativa  in cui ci stiamo dibattendo assumendo la prospettiva delle nuove generazioni nel loro complesso e integrando in essa la realtà delle giovani generazioni di origine immigrata. In particolare proverò a ragionare di istruzione e di scuola  in quanto contesti di attivazione dei diritti sociali delle persone in  un periodo in cui:

  • lo sfondo è rappresentato dall’interdipendenza mondiale dei processi economici, sociali, conoscitivi, politici. Dato indiscutibile, come sappiamo, interpretato in modi e con dinamiche anche conflittuali e contrapposte. E’ su questo sfondo che si collocano i processi migratori che coinvolgono l’Italia e che presentano caratteristiche non comprensibili senza il riferimento alla interdipendenza (modificazioni dei paesi di provenienza, trans nazionalismi,  mantenimento di collegamenti tecnologicamente mediati o reali… per non parlare della interdipendenza  sulla base dell’Unione Europea).
  • La realtà degli ultimi anni è segnata dalla “crisi”, crisi finanziaria, crisi economica, crisi occupazionale. In via di risoluzione?
  • Il welfare, già da tempo oggetto di rivisitazioni e “cure” orientate a ridefinire ruolo dello Stato e degli attori sociali  (non abbiamo certo bisogno di guardare all’Inghilterra e alla Big Society di Cameron per interrogarci sulla welfare society…), si trova a confrontarsi in maniera quotidiana con i “tagli” delle risorse finanziarie a disposizione.

 In generale, come è ben chiaro a tutti ma come è altrettanto bene continuare a richiamare alla nostra attenzione, qualsiasi sia la prospettiva di analisi, nella società contemporanea  la scuola rappresenta un contesto comune di apprendimento ( differenziato per quanto è possibile, ma non fino ad arrivare alla unicità del percorso formativo) che  ha a  che fare  con l’inserimento sociale delle persone. E’ tramite di costruzione del legame tra individuo e società nelle diverse dimensioni (economica, sociale, culturale, politica) e, in quanto tale, connessa ai mutamenti della società e capace, a sua volta, di generare mutamenti sociali.

 La scuola è una istituzione culturale : produce cultura / riproduce cultura / è un nodo importante nel circolo della trasmissione e del mutamento culturale. I differenti approcci  rimandano a differenti visioni della società e del rapporto individuo-società. In questa prospettiva, qualsiasi sia il modello interpretativo, si ragiona comunque di valori, di norme, di linguaggi, di conoscenze, di identità.

 Nella società moderna delle nazioni la scuola è stata o avrebbe voluto essere un luogo di produzione della cittadinanza e dell’appartenenza  all’organizzazione politico-amministrativa di uno Stato. Da un certo punto in poi con riferimento alla democrazia. Così è per l’Italia a partire dalla Costituzione del 1948 che introduce il riferimento anche ai grandi diritti umani delle persone.

 La scuola è un luogo di produzione/riproduzione sociale, in connessione con il mondo del lavoro e con la questione della uguaglianza/disuguaglianza sociale/mobilità sociale.

 Come già ho detto, io fermerò l’attenzione sulla terza dimensione, quella relativa all’istruzione come diritto sociale,  in relazione al mercato del lavoro e alle politiche di welfare.

 2.      Le trasformazioni della questione dell’uguaglianza a scuola

Il tema della uguaglianza/disuguaglianza è stata la grande questione scolastica  dell’Italia in fase di sviluppo nel secondo dopoguerra e, in particolare,  dell’Italia che conosce la scolarizzazione di massa e l’accesso all’istruzione di studenti provenienti dalle diverse classi sociali.

Con tipologie di obiettivi spesso contrapposti, ma anche correlati: la prospettiva liberista-capitalista  fa riferimento all’incremento del capitale umano  per il mercato del lavoro e lo sviluppo dell’economia; la prospettiva democratica propone l’apertura del sistema scolastico italiano nello spirito della Costituzione; la prospettiva del riequilibrio delle gerarchie sociali ingiuste chiede una equidistribuzione delle chances tra tutti i gruppi sociali e mobilità sociale per tutti.

Le interpretazioni e le pratiche, come è noto, si differenziano a seconda non solo degli orientamenti politici, ma anche delle differenti letture dei meccanismi e dei modelli sociali, riconducibili in estrema semplificazione ad un orientamento funzionalista e ad uno conflittualista.

Ci si confronta sulla uguaglianza di accesso, di opportunità, di riuscita.

Negli anni settanta in Italia  nasce anche il  concetto di “diritto allo studio”: nel senso di dare a tutti l’opportunità non solo di accedere alla scuola, ma di ricavarne una formazione di qualità e con una attenzione crescente  ai vari servizi di welfare che possono supportare la scolarizzazione (mensa, trasporti, tempo pieno scolastico..)

Nelle diverse impostazioni, comunque i “disuguali”  sono definiti a partire dalla gerarchie delle caratteristiche sociali, economiche e di scolarizzazione delle famiglie di provenienza.

Va tuttavia notato che già negli anni sessanta/settanta c’è attenzione ai differenti percorsi che portano all’uguaglianza (don Milani e il principio  di “ non far  parti uguali fra disuguali”) e all’esigenza di non trasformare l’obiettivo dell’uguaglianza in omologazione.

La maturazione della sensibilità verso le differenze-non immediatamente declinabili in disuguaglianze-  è andata crescendo negli ultimi due decenni per vari fattori, ma anche per una crescente attenzione alla dimensione della “persona” e nella prospettiva pedagogica dell’individualizzazione.

Nonostante le ricerche sociologiche ed anche economiche abbiano continuato a segnalare- accanto ad un indubbio incremento della scolarizzazione e, in particolare, della scolarizzazione e della riuscita scolastica delle donne – la forte presenza di fattori strutturali, l’attenzione si è spostata a quelli individuali, legati alle caratteristiche di personalità, alle emozioni, alle motivazioni, al clima relazionale, al benessere.

 La mondializzazione, l’elevata competizione internazionale in termini di innovazione e di funzionalizzazione dei saperi ( “la società della conoscenza”), l’ondata neoliberista imperniata sul “merito” (termine in realtà presente già nella costituzione, ma non in chiave di individualismo liberista), l’entrata prepotente delle valutazioni dell’output di apprendimento in chiave comparata europea e Ocse e, in specifico in Italia, la presenza crescente di immigrati nelle scuole hanno scompigliato le carte .  

Le variabili strutturali tornano a evidenziare la loro forza, anche se in un primo momento la questione migratoria a scuola è letta prevalentemente in termini culturali e anche se lo strutturale che emerge si allarga a  dimensioni altre rispetto al passato:

  • per esempio si evidenzia l’importanza del capitale sociale e culturale  del territorio e non solo quello famigliare. Le statistiche sia Ocse che Invalsi mettono a fuoco in modo particolare le differenze regionali della riuscita scolastica ;
  • per esempio per gli allievi di origine immigrata vengono in rilievo l’esperienza della discontinuità scolastica (fortissima incidenza sui ritardi dei ragazzi nati altrove), l’ esperienza personale o meno del viaggio,  le carenze linguistiche e il grado di efficienza dei servizi offerti dalla scuola in cui si viene inseriti.

 

 3.      Disuguaglianze comparate

Un breve richiamo a due espressioni  della disuguaglianza tra gli alunni di origine immigrata in confronto con la situazione degli italiani serve a mettere in  evidenza comunanza e diversità di problemi.

 3.1  I risultati delle valutazioni Invalsi (www.invalsi.it) sull’apprendimento della lingua italiana e della matematica  in II e V primaria e in I secondaria di primo grado nell’a.s. 2009/2010 dimostrano  non solo la differente riuscita tra italiani e immigrati, ma anche la differenza tra le diverse aree del Paese per  gli allievi italiani e  tra immigrati di prima e seconda generazione (le differenze tra questi due gruppi si annullano al Sud).

3.2  Tutte le statistiche evidenziano una più elevata presenza di abbandoni tra gli stranieri e una loro collocazione soprattutto negli istituti e nella formazione professionale.  Le spiegazioni sono tante, in qualche misura corrispondenti a quelle degli italiani che si trovano nelle stesse condizioni.

La ricerca  curata da Paolo Canino per la Cariplo  “Stranieri si nasce…e si rimane? Differenziali nelle scelte scolastiche tra giovani italiani e stranieri”, utilizzando dati delle rilevazioni trimestrali Istat sul lavoro 2005-2008 e dati Invalsi (relativamente a sole tre Regioni),  mette in evidenza che  oltre alle variabili comuni agli italiani (occupazione del padre, livello di istruzione dei genitori, condizione lavorativa o casalinga della madre) resta un residuo di “disuguaglianza” riconducibile proprio all’essere stranieri, al background migratorio:

“A parità delle altre condizioni, si riscontra una discriminazione specifica nei confronti dei cittadini stranieri che sono quindi portati a “rivedere al ribasso” i propri percorsi formativi (maggiore probabilità di abbandonare, minore pro­babilità di avviare un percorso che possa proseguire fino all’università). Questa situazione, oltre a rappresentare un fattore di iniquità sociale, configura un uti­lizzo inefficiente delle risorse costituite dalle abilità degli studenti stranieri.” (Quaderni dell’Osservatorio n. 3 Anno 2010 – www.fondazionecariplo.it/osservatorio)

 3.3  Una ricerca condotta a partire dalla stessa banca dati Istat e relativa agli stessi anni da Davide Azzolini e Carlo Barone (Università di Trento)  arriva a conclusioni analoghe. Approfondendo inoltre l’analisi per area territoriale di provenienza, i ricercatori  evidenziano che “ Significative sono le differenze tra paesi di origine. Gli SBM provenienti dall’area del Maghreb e del Medio-Oriente, dalla Cina e dai rimanenti paesi asiatici mostrano il divario più consistente rispetto agli italiani. Altri gruppi fortemente svantaggiati sono quelli albanesi, balcanici ed africani. Considerando il background migratorio familiare, i nati all’estero con entrambi i genitori nati all’estero costituiscono il gruppo largamente più svantaggiato. Infine, il tempo trascorso in Italia è confermato essere un potente predittore delle scelte scolastiche, e quindi del differenziale etnico. I suoi effetti si riducono sensibilmente a parità di classe sociale, ad ulteriore conferma delle maggiori difficoltà iniziali in ambito lavorativo per gli stranieri.” (Tra ‘vecchie’ e ‘nuove’ disuguaglianze: la segregazione degli studenti di origine straniera negli indirizzi formativi delle scuole superiori italiane, http://convegnonazionale2010.ais-sociologia.it/ita/94/1/ws7–fullpaper.htm , settembre 2010)

 

 3.4 Non abbiamo ancora dati sulla mobilità sociale degli stranieri attraverso la scuola, né, più in generale, sul loro inserimento lavorativo. In Francia  si sostiene da tempo che la scuola di stampo universalistico non ha in realtà aumentato le chances di mobilità dei ragazzi di origine immigrata, che si trovano in una condizione di discriminazione sociale.

Ma non possiamo dimenticare che, nel quadro della crisi economica e della difficile equità intergenerazionale, la mobilità sociale ritorna ad essere un problema degli italiani. Gli elevati tassi di disoccupazione, anche di chi ha una laurea, riportano all’attenzione le disuguaglianze territoriali, ma anche quelle legate alle appartenenze famigliari.

 4.      Alcuni interrogativi  “caldi” per le politiche scolastiche.

4.1  Il diritto allo studio è un diritto del cittadino o un diritto umano?  La via italiana all’integrazione degli alunni stranieri  ha stabilito fin da subito il link con la Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia.       Ma come supportare il diritto alla scuola dell’infanzia  non obbligatoria o alla formazione universitaria di chi cittadino italiano non è?  E come supportare quegli interventi di welfare che riguardano i servizi scolastici come la mensa, il trasporto…?

 4.2  Il diritto allo studio deve essere “universalistico” o selettivo?  In Italia è nato in epoca di welfare universalistico. E così agli inizi è stato anche con riferimento agli alunni di origine immigrata in età di obbligo.  Oggi ci troviamo anche nell’istruzione a ragionare e a configgere sull’ introduzione di  elementi di selettività. In molteplici sensi:

 a) selettivo nel senso di dare priorità ai cittadini italiani (orientamento leghista, ma molto diffuso tra le famiglie in genere);

b) selettivo nel senso di azioni formative separate (anche con buone intenzioni… o per desiderio di consenso sociale);

c) selettivo nel senso di interventi che rispettino la differenza culturale ;

d) selettivo nel senso di azioni di discriminazione positiva a favore degli stranieri presenti sul nostro territorio. Se si ipotizza un di più di discriminazione legata al bakground migratorio, si possono pensare azioni che aumentino le chances degli stranieri (borse di studio per loro, ad esempio?)

 4.3  Per tutti va  ripensata la relazione tra uguaglianza e merito. E’ possibile pensare ad un “merito” che abbia a che fare con le differenze qualitative e la responsabilità, anche sociale, delle persone e non solo con la competizione?    Il riferimento solo al merito che si esprime nella competizione  può anche essere compatibile con una versione liberista del diritto allo studio che premia la disuguaglianza “giusta”, ma in epoca di interdipendenza e, insieme, di frantumazione sociale, riduce ancora di più l’orientamento alla solidarietà e alla coesione sociale di cui questa società ha invece un gran bisogno e che è utile anche dal punto di vista dell’economia.

 4.4   Il diritto allo studio di tutti cambia in termini contenutistici : c’è bisogno per tutti di maggiori strumenti per affrontare lo scenario mutato, di un miglioramento degli apprendimenti linguistici, di migliori conoscenze delle storie e delle società altre,  di strumenti per la mobilità territoriale delle persone e per l’internazionalizzazione della vita….

 In buona sostanza, il diritto allo studio è una questione di scelte e di priorità generali della nostra politica e degli usi delle nostre risorse finanziarie.

La questione degli stranieri non ne è che un pezzetto. In buona sostanza è un evidenziatore delle difficoltà più generali che stiamo attraversando.  Ci vogliono occhi attenti e non troppo candidi (”candidi come colombe e astuti come serpenti”), ma dovremmo avere la capacità di evitare la trappola di considerarli il “nemico appropriato” perdendo la consapevolezza che è a rischio  la scuola di tutti.

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