1. Perché parlare di scuola?
Gianni Rodari pratica i terreni della creazione fantastica, della narrazione, della scrittura creativa che vivono in luoghi e tempi disparati, all’interno anche di una molteplicità di relazioni educative.
C’è in Rodari qualcosa di universale, duraturo nel tempo, che ha a che fare con il gioco, con il piacere dell’invenzione, con la curiosità, con la passione per l’umano in tutte le sue espressioni.
E allora perché parlare di scuola? Perché di fatto con quell’istituzione Rodari si confronta. Possiamo dire che sfida la scuola, ritenendola una istituzione centrale per lo sviluppo della persona in una società che voglia essere democratica.
Parlare di scuola per Rodari significa sostanzialmente parlare della scuola di base, di bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria. Dei loro insegnanti e della formazione dei loro insegnanti.
Perché si ferma a questa fase della formazione? Perché non si occupa della creatività degli adolescenti?
Nel 1977, in occasione della mostra del libro del libro italiano per l’infanzia e la gioventù di Monaco di Baviera, afferma: “Per me scrivere per i bambini equivale a fabbricare giocattoli. Dico “per me”, perché non pretendo che altri si sentano a loro agio nella metafora. Dico “per i bambini” perché non penso che occorra una letteratura speciale per i ragazzi, tanto meno per i giovani: personalmente, dai dodici anni in su, li lascerei tutti liberi di avventurarsi nell’oceano delle grandi letterature di tutti i tempi e di tutti i paesi con le loro forze e la loro curiosità.” (http://www.rodaricentrostudiorvieto.org)
C’è senz’altro una vocazione personale di Rodari per la letteratura dell’infanzia, in realtà una “chiamata” personale “quasi per caso”, e l’idea che non c’è bisogno di una letteratura specifica per adolescenti. Ma ritengo ci sia qualcosa d’altro, che ha a che fare con il contesto storico in cui si colloca – il secondo dopoguerra, a cavallo tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta- e certamente con l’etica educativa e sociale che lo accompagna. Con la sua rappresentazione dell’importanza delle fasi iniziali dello sviluppo: “L’incontro decisivo tra i bambini e la lettura avviene sui banchi di scuola” perché non si tratta di un istinto e c’è bisogno della giusta formazione
2. Di che scuola parla Rodari?
Rileggendo a quasi 40 anni di distanza la Grammatica della fantasia (è stata pubblicata nel 1973), così come mi ha colpito la freschezza e l’inventiva dell’autore, altrettanto lo ha fatto la rappresentazione della scuola che ne viene fuori:
– una scuola trasmissiva che “blocca”. Ci sono esperienze diverse e positive (Vho, Reggio Emilia, il Movimento di Cooperazione educativa…), ma è più diffuso un fare scuola impostato su una “routine didattica della peggior specie (copiature, dettati e simili)”(G.f. p.64);
– insegnanti che funzionano spesso come ammaestratori di foche, sminuzzatori del sapere in bocconi, distributori di un sapere “bell’e confezionato”;
– una scuola che richiede ubbidienza passiva ;
– una scuola che con meccanismi tradizionali uccide il “gusto” della lettura : “una scuola alquanto rattristata dall’incontro burocratico” con i testi classici (G.f. p.92);
– una scuola “scolastica” che contamina negativamente i bambini e uccide le passioni.
L’educazione alla creatività, l’orientamento giocoso non sono per Rodari meccanismi di evasione e di fuga, ma strategie per innalzare il livello di qualità della scuola, attraversando tutte le materie e, soprattutto, per superare sia manipolazioni che deprivazioni nel percorso di crescita.
Propone così alcuni principi :
– la creatività come pensiero divergente, autonomia, rifiuto del codificato;
– il bambino non più come consumatore, ma produttore di valori e di cultura (cfr I. Illich);
– l’insegnante come promotore di creatività, “animatore” (prospettiva costruzionista);
Sul piano operativo questo si traduce in:
– uso della fiaba per educare la mente : “ La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo” (1970, premiazione Andersen);
– attenzione prevalente al linguaggio, alla lettura –mixata alle immagini- anche in prospettiva di diffusione della “parola” a tutti i bambini (il pensiero di don Milani) . Il valore di liberazione della parola “Tutti gli usi della parola a tutti- mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo” (G.f. p.14).
La prospettiva si allarga alla società nel suo complesso:
– l’educazione creativa è una potente strategia per aggredire il futuro e cambiare la società;
– l’educazione creativa e nuova scuola sono una via cardine per la diffusione della democrazia;
– Le fiabe diventano fortemente “etiche”, con un richiamo ai grandi problemi dell’umanità (fame, guerra. disuguaglianze…).
3. I mutamenti nelle scuole : quale creatività per il nuovo bambino nella scuola delle Nuove indicazioni (Moratti 2004/ Fioroni 2007-Indicazioni per il curricolo / Gelmini 2009 – Note di indirizzo)?
Si tratta di orientamenti mutanti e sempre “sperimentali” , ma alcuni elementi sono comuni e persistenti:
- la centralità della persona e l’educazione permanente;
- la rappresentazione del bambino competente (attivo), autonomo, nuovo cittadino;
- in buona sostanza, tuttavia, c’è la “riduzione” disciplinare/esperienziale della creatività (attività espressive, gioco nell’infanzia, materie artistiche in seguito…)
4. Ma oggi la scuola è luogo di educazione?
Mentre continua il dibattito su istruzione/educazione, al centro dell’attenzione c’è oggi la questione dell’”emergenza educativa”, tematizzata in modo particolare dal mondo cattolico. La Cei ha lanciato il decennio 2010-2020 dell’educazione e a ottobre è uscito il testo “Educare alla vita buona del Vangelo”.
In generale, sono in questione l’autorità degli adulti ( si sostiene che l’educazione non può non basarsi sull’autorità), il modello costruzionista (con la riproposta di quello trasmissivo), lo “spontaneismo” .
Emergono richiami “alti” ad un rinnovamento , ma anche riduzionismi e proposte di ritorno all’antico (grembiulino bianco, voto di condotta, maestro unico…)
L’unica “emergenza” su cui ci si dovrebbe veramente concentrare è quella che ha a che fare con le novità di ogni nuova generazione di bambini. Non solo quindi rischio, patologia, difficoltà… ma inevitabile “emersione” del nuovo che ci sfida.
Cambia la scuola, cambia il bambino, cambia l’adulto e con questi cambiamenti bisogna fare i conti. Anche Rodari farebbe i conti…
La scuola si trova oggi a confrontarsi –tra il resto…– con:
- problemi di frammentazione e discontinuità,
- difficoltà di apprendimenti di base,
- sostituzione della routine didattica di cui parlava Rodari con la routine dei test di valutazione (apprendere sui manuali dei test…),
- problemi di gestione regolata della vita quotidiana,
- sovra stimolazione e, insieme, iperorganizzazione della vita dei bambini,
- moltiplicazione delle fonti di conoscenza, informazione, formazione, soprattutto elettronica.
All’immagine del bambino competente delle normative si sovrappone quella del “bambino vulnerabile”, mix di reali rischi e di eccesso di tutela e protezione (lo spirito assicurativo impera)
5- Tre piste rodariane alla creatività da reinventare per i nostri tempi
Nel contesto mutato e con persone diverse, tre stimoli rodariani vanno utilizzati:
1- La creatività, il pensiero divergente… guadagnato : il bambino non va lasciato solo e neppure l’insegnante. Rodari scrive una “grammatica” della fantasia. Con leggerezza mostra i suoi “trucchi” che in realtà si agganciano a un sapere pedagogico e artistico ampio e forte.
Per i bambini di oggi, un po’ liquidi in realtà e molto contingenti, va trovato il giusto equilibrio tra il superamento della routine e la consapevolezza che solo esercitandosi si conquista la piena competenza.
2- Nuovi “trucchi” per nuovi linguaggi : non solo parole e non solo lettura. Rodari lavora prevalentemente con la parola, orale e scritta, da uomo del dopoguerra. Ma è ben consapevole che l’invenzione narrativa può usare tanti linguaggi e dice che il bambino è chiamato a “giocare” con i materiali del suo tempo. Quindi….
3- La motivazione al cambiamento sta nella capacità di rappresentarselo: l’immaginazione è strumento indispensabile per disegnare la possibilità di cambiamento. Un buon futuro può nascere solo se c’e’ fiducia e speranza (cfr anche la Pedagogia della speranza di P.Freire). “ So bene che il futuro non sarà mai bello come una fiaba. Ma non è questo che conta.Intanto bisogna che il bambino faccia provvista di ottimismo e di fiducia, per sfidare la vita. E poi non trascuriamo il valore educativo dell’utopia. Se non sperassimo, a dispetto di tutto, in un mondo migliore, chi ce lo farebbe fare?” (G.f.p.125)