"Se hai due pani,
danne uno ai poveri,
vendi l'altro
e compra dei giacinti
per nutrire l'anima"
(massima indu')

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Graziella Giovannini

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Sguardi sulla storia delle donne

Ottobre 20th, 2010

 “Proviamoci, con un po’ di storia alle spalle,

con un po’ di intelligenza e di umanità davanti”

(Edmondo Berselli, L’economia giusta, Einaudi 2010)

 

 Prendo a prestito la frase  con cui si chiude il libro di Edmondo Berselli L’economia giusta per cercare di dare un ordine e un senso ad alcuni miei sguardi sulla storia delle donne. E’ un testo in cui si ragiona di uguaglianza, di equità, di solidarietà e di crisi nell’Italia di oggi. E che alla fine propone in maniera pacata una via di uscita.

 

1.“Un po’ di storia alle spalle”

Non ci è chiesto qui di ricostruire- e sarebbe impossibile- la storia delle donne. Dire “sguardi” equivale sostanzialmente a “un po’ di storia alle spalle”: ha a che fare con la consapevolezza che non possiamo ragionare di futuro senza  contestualizzarci, senza avere il senso delle trasformazioni e, anche, del tempo necessario alle  trasformazioni.

Il primo sguardo allora  è per Rosa Oliva. Non avevo mai sentito parlare di lei fino a sabato scorso, quando   ho avuto l’occasione di conoscerla in occasione di un seminario a Bologna.  Il nome di Rosa Oliva è legato alla sentenza n.33 del maggio 1960 della Corte Costituzionale italiana che, dichiarando “l’illegittimità costituzionale della norma contenuta  nell’art.7 della legge 17 luglio 1919, n.1176, che esclude le donne da tutti gli uffici pubblici che implicano l’esercizio di diritti e di potestà politiche”, apre finalmente la possibilità per le donne di accedere  a importanti ruoli pubblici, come quelli della prefettura e della diplomazia. Sentenza emanata a seguito del ricorso presentato da questa donna contro il Ministero degli Interni. Rosa era  una neo-laureata in Scienze Politiche a Roma e aveva studiato la Costituzione italiana con bravi maestri e, in particolare, con uno dei padri della Costituente, Costantino Mortati. Avendo presentato domanda per l’accesso alla carriera prefettizia era stata  eliminata proprio con riferimento a quella legge del 1919. Di fronte alla palese incongruenza tra quella  eliminazione e gli insegnamenti appresi negli anni di studio, si è rivolta al suo professore e gli ha chiesto di supportarla come avvocato nel suo ricorso contro il Ministero dell’Interno. Cosa che il prof. Mortati ha fatto, accompagnandola  sia nel giudizio davanti al Consiglio di Stato che in quello davanti alla Corte Costituzionale.

Due elementi quotidiani  mi emozionano in questa storia: il coraggio di una giovane neo-laureata e un  professore universitario che si è fatto carico di lei in coerenza con quanto le aveva insegnato. Grandissima quotidianità che ci sarebbe utile anche oggi.

Sul piano generale lo sguardo su Rosa Oliva ci aiuta a capire la chiave  con cui la società moderna ha cercato di affrontare la condizione femminile e cioè l’uguaglianza, sancita, come ben sapete, dalla Costituzione il cui l’art. 3 pone il sesso come prima dimensione.   E’ una chiave  che gerarchicamente, in via di principio, ha sovrastato tutte le altre.

Ci aiuta anche a capire che questa prospettiva di lettura della condizione femminile è recente.

 L’esperienza testimoniata da questa donna è veramente già storia,  anche se risale esattamente a cinquanta anni fa, un tempo che sta tutto compreso dentro la mia vita.

E’ indubbio che questi cinquanta anni che ci separano dalla sentenza n.33- e i sessantadue che ci separano dalla Costituzione –  hanno visto molte trasformazioni orientate, appunto, dal principio di uguaglianza fra i sessi  con riferimento a diversi campi della vita associata e della cittadinanza. Prendendo a prestito Marshall, si potrebbe sostenere che anche per le donne cittadine vale la distinzione fra diritti civili (libertà di parola, libertà di decisione, libertà dalla potestà maritale), diritti politici (partecipazione , voto, possibilità di essere elette ai vari livelli), diritti sociali (istruzione, lavoro, salute, pensioni…).  Le discussioni,   le battaglie, la legislazione italiana ed Europea si sono mosse in questa prospettiva, scegliendo il principio di parità come assunto di base.

Se ci fermiamo al livello della legislazione e delle direttive (soprattutto europee) non ci sono arresti nella proclamazione dell’uguaglianza e, in particolare negli ultimi anni, nella proclamazione delle pari opportunità soprattutto nell’ambito dei diritti sociali, istruzione e lavoro in particolare, compreso il lavoro di cura della famiglia.

E’ del 21 settembre scorso l’ultima decisione della  Commissione Ue in merito alla “Strategia per l’eguaglianza fra gli uomini e le donne  2010-2015”  che  si avvale anche di un istituto di recente creazione  sull’Uguaglianza di genere e  di un data base “Donne d’Europa” per tenere sotto controllo gli indicatori  relativi alla parità.

Una “strategia” che segue a tante altre analoghe direttive, questa volta con una più specifica attenzione alla questione della violenza.

Sappiamo bene quanto il piano delle retoriche politiche si discosti da quello delle reali condizioni, altrettanto puntualmente segnalate da indagini, segnalazioni, storie qualitativamente diverse. Basti ricordare  le più recenti statistiche  diffuse dal World Economic Forum .

E’ altrettanto indubbio che, se disparità rimangono, ci sono state anche trasformazioni, soprattutto nel campo dei diritti sociali (istruzione –dove le donne hanno superato gli uomini- e lavoro, compreso il lavoro di cura)   e non ce le possiamo giocare all’insegna di pessimismo e vittimismo.

Potrebbe essere un esercizio interessante quello di andare a vedere le specifiche trasformazioni nei vari settori. Abbiamo molti dati a nostra disposizione.

Io vorrei tuttavia fermare l’attenzione proprio sulla rappresentazione che stiamo usando per parlare di storia delle donne: la centralità dell’uguaglianza.

Cosa ha significato e cosa continua a significare questo termine?

Alle fondamenta troviamo elementi che  possono godere di un’ampia condivisione (“ampia”, in prospettiva democratica, non “totale” ) e cioè la valutazione della pari dignità delle persone e la richiesta di ridurre, se non eliminare, le discriminazioni e le ingiustizie. Orientamenti che valgono anche per l’oggi.

Non dobbiamo tuttavia dimenticare  alcuni possibili rischi:

a)     il rischio dell’omologazione, del “tutti uguali” senza tener conto delle diversità. Rischio che è stato forte agli inizi, con  episodi di “maschilizzazione” delle donne. Rischio che è stato oggetto di riflessione e di nuovo pensiero già negli anni ottanta/novanta del secolo scorso attraverso quella che viene definita “cultura della diversità”. Vale per il genere come per altre differenze. Pari opportunità in materia di diritti sociali, civili e politici non significa nascondimento di intelligenze, sentimenti, stili, percorsi differenziati . Già all’inizio del secolo scorso una pedagogista, Ellen key, aveva introdotto il concetto di “equivalenza” ad indicare l’obiettivo di una uguaglianza raggiunta attraverso percorsi articolati sulla specificità delle persone.   Si tratta di un rischio comunque sempre dietro l’angolo.

b)     Il rischio di una riduzione  della questione di genere in termini di potere e, soprattutto,  economici : il lavoro delle donne è  letto come “motore dell’economia” (Rivoluzione womenomics;); i valori femminili possono essere uno strumento per il rilancio dello sviluppo economico (alternativo, almeno!);  la  maternità è un diritto che va coniugato in prima istanza con il diritto al lavoro; fare figli è importante per mantenere la struttura attuale delle pensioni…… Si veda sul sito http://www.womenomics.it/  questo tipo di impostazione, a partire dallo slogan : “La nuova formula della crescita: donne, lavoro, economia, fecondità”.

c)      Il terzo rischio è quello su cui, secondo me, si dovrebbe più lavorare. Riducendo la complessità e  con qualche semplificazione, si può sostenere che la lettura dell’uguaglianza e dei diritti connessi è avvenuta in chiave sostanzialmente individualistica, anche là dove le battaglie sono state condotte collettivamente. O, forse meglio, gli ultimi decenni del secolo scorso hanno visto emergere con forza, sia a destra che a sinistra, il richiamo alla libertà individuale, la preminenza della libertà individuale e la rivendicazione soggettiva dei diritti. Questo si può osservare in maniera chiara nelle questioni di genere, come in quelle relative all’infanzia e, complessivamente, nelle questioni della vita familiare.

Questa prospettiva ha rafforzato  una lettura conflittuale dei rapporti tra i generi, presente nella storia politica della uguaglianza/disuguaglianza più in generale, e ha colorato i rapporti quotidiani di orientamenti di tipo rivendicazionista, negoziale, scambio strumentale. Libertà individuale contro libertà individuale. I miei diritti contro i tuoi diritti. Dentro la famiglia. Con un incremento di emozioni negative come il risentimento e l’acredine nella vita dei rapporti quotidiani.

Lo stesso si può osservare anche nelle relazioni tra le generazioni, tra genitori e figli.

 

2.  “Un po’ di intelligenza”  per capire i nostri giorni.

Il quadro non sta fermo, come è normale che sia nella storia umana.

Il quadro, soprattutto, non è compatto e non è caratterizzato da una evoluzione lineare anche nei campi che sembrano più dissodati.

Vorrei tuttavia mettere in evidenza alcune trasformazioni che hanno a che fare con   il nuovo terreno dei diritti culturali (di cui Marshall non aveva parlato) che vengono alla ribalta  con la globalizzazione e  le immigrazioni, ma anche  con l’emergere prepotente delle questioni etiche attinenti la vita e il sesso.

2.1  Parlando di donne nell’Italia di oggi  non possiamo non fare i conti con le cittadine non italiane, quelle che arrivano migranti, da sole o ricongiunte  e che qui lavorano, fanno famiglia, allevano figli.  

Molte di loro, non tutte, quelle che provengono da nazioni in cui la posizione della donna è subordinata dentro e fuori la famiglia, che hanno una diversa rappresentazione della femminilità, ci costringono a fare i conti con questioni contemporaneamente tradizionali e inedite. Dove collochiamo il discrimine fra rispetto della diversità culturale e rispetto della dignità delle persone?

Credo che  difficilmente, proprio per la nostra storia occidentale, possiamo accettare una giustificazione culturale alla non autonomia delle donne e alla oppressione violenta  nei loro confronti, alla mortificazione del corpo, al controllo sul modo di vestire. Siamo tuttavia sfidati a interrogarci seriamente su altri aspetti che non ci vedono “culturalmente “ superiori a loro.

L’uso mercificato del corpo è tornato prepotente sulle nostre scene di occidentali. Non sempre si riesce a distinguere bene – un esempio per tutti la pubblicità-  tra libertà di vestire/svestire  il proprio corpo  e   trasformazione in oggetto di consumo.

2.2             Le trasformazioni culturali in corso  ci chiederebbero di ragionare di “donne”  tenendo conto anche di una serie di sconfinamenti  e di attraversamenti tra i generi .

Mi riferisco al tema della omosessualità  che, con oscillazioni tra forme di orgoglio e fenomeni di discriminazione, introduce elementi  di nuova rilevanza nel processo di costruzione dell’identità di genere.

Non possiamo non renderci conto che, nel pieno rispetto di questa forma di diversità, il clima culturale  aumenta la problematicità della costruzione identitaria adolescenziale. Di tutti.

Mi riferisco, in maniera forse meno drammatica, alla difficoltà di  far fronte agli incroci che l’aumento di parità porta con sé sul piano dei comportamenti, della manifestazione dei sentimenti, delle scelte, della cura del corpo.

Se non vogliamo annullare la diversità, né sacrificare tutto alla logica della piena mixitè (come alcuni in realtà vorrebbero), come traduciamo in atti concreti le diversità di genere nel rispetto del principio di parità?

Qui il problema sembra essere più maschile che femminile e  le difficoltà sono soprattutto degli adolescenti maschi (e le ricerche lo hanno già evidenziato) che, al contrario delle loro coetanee femmine, non hanno di fronte una rappresentazione chiaramente  riconosciuta del nuovo  ruolo maschio adulto.  

In sintesi, a partire da queste e da altre considerazioni, si può sostenere che siamo ancora in cerca di buoni equilibri di genere.

 

3.“Un po’ di nuova umanità davanti”

In sostanza, abbiamo bisogno, forse, di una nuova umanità, uomini e donne, ragionando non solo  in chiave di separazione, ma anche  di legami.  Se l’autonomia personale, la libertà individuale riconosciuta anche per la donna  sono stati passi importanti nella storia della società moderna occidentale, strategia indispensabile per elevare la loro qualità di vita, credo che a noi- in questa società caratterizzata da frantumazioni e massificate solitudini – sia chiesto di andare avanti, non dimenticando quella lezione, ma completandola con una accresciuta attenzione alla complementarietà tra le persone,  alla fiducia reciproca, alle esigenze della solidarietà e alla costruzione di buoni legami nel rispetto della diversità.

Non sto sostenendo niente di utopico né di inarrivabile, ma di qualcosa di cui già si possono osservare i segni e che io inserisco nella prospettiva che ho chiamato dei “diritti responsabili”.

Cosa significa adottare questa prospettiva per affrontare anche le questioni di genere?

 –          Vuol dire accettare il senso del limite dell’esistenza e, in specifico, dei propri diritti, considerando che la libertà individuale è sempre contestualizzata e sottoposta a vincoli.

–          Vuol dire riconoscere la natura sociale dei diritti : il mio diritto vive fondativamente solo all’interno di una relazione che  comporti  un riconoscimento sociale, un riconoscimento da parte dell’altro. E, di conseguenza  un riconoscimento dell’altro e del suo diritto. In questo modo si supera anche la visione liberista che il mio diritto termina dove inizia il diritto dell’altro, in una prospettiva necessaria di composizione di interessi.

–          Vuol dire , per questa via, superare una logica puramente rivendicazionista e di negoziazione degli interessi. La relazione è parte integrante  della possibilità che i contenuti dei diritti vengano realizzati e pertanto va coltivata essa stessa.

–          Relazioni responsabili permettono  di ricomprendere dimensioni “calde” come la cura, l’amicizia, l’amore, la compassione. Possono favorire l’integrazione tra processi di emancipazione e costruzione della fiducia, risorsa indispensabile per una buona qualità dei legami sociali  e della convivenza e, al fondo, anche una compiuta risposta ai propri bisogni.

–          Vuole dire, specificamente in educazione e specialmente in  adolescenza, lavorare per combinare insieme autonomia e responsabilità nei confronti dell’altro e della società. La società che riconosce il pluralismo (anche quello di genere) richiede  la capacità di tenere insieme le differenti appartenenze.

–          Vuol dire, più in generale, educare tenendo insieme IO e NOI, integrazione /riconoscimento della comunanza  e irriducibile alterità della persona rispetto alle specifiche e plurime  appartenenze.

Questa prospettiva cambia la relazione tra  le persone e permette di considerare  come parte delle proprie scelte sensate e appaganti il far spazio all’altro, nel riconoscimento della dignità umana e della diversità. Permette di non essere vincolati alla cornice del contratto e dello scambio, arricchendola con la prospettiva del dono, logica che deve essere pensata come possibile e anche “realizzante”. Dobbiamo poterci rappresentare una via alternativa al contratto e agli interessi strumentali nelle relazioni umane. Mi viene da dire che abbiamo bisogno di una gratuità emancipata  nei rapporti di genere (ma non solo).

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